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Chianti, biodiversità e territorio: incontro con Renzo Centri

pubblicato in: Biodiversità

Seconda e ultima parte intervista a Renzo Centri, di Cipressi in Chianti

È l’affresco del Buon Governo realizzato da Ambrogio Lorenzetti, un dipinto didascalico pieno di dettagli, spunti di riflessione e visualizzazione degli effetti di come una città ben governata porterebbe a una qualità di vita migliore per tutti i cittadini…

Sì. È l’allegoria degli effetti del Buono e Cattivo governo che si trova nel Palazzo Pubblico di Siena.

Si può parlare di biodiversità in relazione alla razza suina di cinta senese? In particolare cosa è la biodiversità?

La biodiversità è riferita alle specie vegetali e animali autoctone che rischiano di andare in estinzione. Quello che ha fatto Mauro Ziveri, fondatore della Cipressi in Chianti, è proprio riferito a questo, ovvero incentivare il recupero e supportare coloro che vengono definiti ‘custodi della biodiversità’ e che si preoccupano di mantenere in essere le specie vegetali e animali che altrimenti andrebbero a sparire, Mauro ha finanziato tante aziende attente proprio a questo tema, oltre a creare il Rural Festival che, purtroppo, ha avuto termine con la pandemia del Covid. Inoltre ha aperto a Parma un negozio con vendita di prodotti rigorosamente selezionati all’origine. Purtroppo nel Chianti la biodiversità è andata quasi tutta perduta. Alcuni stanno recuperando dei vitigni che non venivano più usati che però erano rimasti disseminati. Vito De Meo insieme a un allevatore di galli e il suo team, hanno lavorato sodo per portare di nuovo a riprodursi il gallo nero, autoctono del Chianti. Mentre se tu volessi del formaggio fatto con il latte di pecora toscana sarebbe improbabile trovarlo perché non ci sono più pecore autoctone.”

Ricordo che, cinquant’anni fa, nella piana che porta a Gaiole c’era una vecchina, piccola piccola, che faceva la ricotta con il latte delle sue pecore. Probabilmente quelle erano autoctone…

Sì. Oggi qui non le troviamo più, una volta le nostre campagne erano costellate di fattorie…

La perdita di queste produzioni significa anche perdere le tracce del proprio passato. Che significato ha, a livello emotivo e sentimentale, riuscire a trovare qualcosa di autoctono, tipo un vitigno, o magari la possibilità di mangiare un formaggio con latte di animali autoctoni?

Tempo fa, ebbi la fortuna di parlare con Gino Chini, carbonaio, che ha passato una vita nei boschi dei monti del Chianti.  Una volta  lo portai al nostro allevamento di cinta senese e lui cominciò a parlare della nostra macchia, dei frutteti, delle olivete, da lì io iniziai a farmi delle domande sull’alimentazione: mi venne spontaneo. Quando entri in questo meccanismo ti viene naturale porti delle domande e fare delle ricerche. Proprio come dicevi prima, vai in cerca delle tracce del passato per riscoprire le radici. E così quando Gino mi disse che ricordava che nella zona di Cacchiano c’era una prima fila di un’oliveta di un’oliva autoctona, me lo segnai e andai a cercarla e la trovai.

Da cosa nasce il desiderio di andare a ricercare vecchi ceppi e che valore hanno per te questi recuperi?

Per me è stata una bellissima scoperta e ringrazio Mauro che mi ha coinvolto. Per esempio, una volta ero al mare a Baratti e Mauro mi telefonò per dirmi che aveva sentito che in quella zona c’erano dei vitigni autoctoni e per chiedermi di andare a verificarne la presenza e poi di andare nel suo ufficio a Parma per riferire le mie scoperte.  Passai il fine settimana a farmi tutte le campagne circostanti e il lunedì arrivai nel suo ufficio con dei vini del grossetano e relative informazioni.